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    Il viaggio. El viaje. (Lettera al Direttore)

    Nell’ immensa aerostazione di Malpensa, una tra le più grandi di Europa, dove lunghe barriere di check in e di dogane accolgono a ogni ora del giorno e della notte milioni di viaggiatori, filtrano dalle ampie vetrate le prime luci del giorno.

    I gates di imbarco sono affollati di gente diretta agli scali europei ma non solo… Quanto a me supero una discesa con scala a chiocciola e raggiungo finalmente il posto assegnato sull’ aereo.

    Vi ho raccontato molto in breve le circostanze della mia partenza.

    In realtà i tempi sono stati assai più lunghi. E anche gli spazi da percorrere.

    La potente spinta dei reattori conduce finalmente l’aeromobile oltre la cortina della bianca foschia che ristagna sulla pianura di Lombardia.

    Si scorgono lontane montagne ancora innevate e sotto di noi le anse sabbiose del fiume Ticino, un luogo famoso per la storia di Italia.

    Il nostro volo ormai ce ne allontana: ecco Genova e Nizza viste dall’ alto sul mare, poi Valencia in Spagna, Castiglia e Andalusia fino al grande Oceano, una volta oltrepassate quelle che nel mondo antico vennero chiamate le Colonne di Ercole. 

    Cioè lo stretto di Gibilterra.


    Sotto di noi le gigantesche nuvole dell’ atlantico, formazioni di vapore che la fantasia si immagina come torri, castelli, chimere che non esistono, fino al sorvolo delle prime Canarie, Lanzarote e Fuerteventura .

    Ma e’ il vulcano Teide di Tenerife a segnalarci che la nostra meta è ormai prossima. 

    Inizia la discesa dentro un tappeto di nuvole che sembrano lana e sotto di noi  si scorgono le rotanti pale eoliche di Arinaga che Don Chisciotte avrebbe forse scambiato per giganti anche questa volta. Infine l’ atterraggio a Las Palmas con l’ applauso finale di alcuni viaggiatori.

    Siamo a 3200 km dalla partenza. Ad un’ora di differenza nel fuso orario. A un cento miglia dal Tropico del Cancro. Nella patria dei venti oceanici chiamati Alisei, quelli conosciuti e sfruttati dai grandi navigatori che aprirono l’Europa alla conquista del Nuovo Mondo, dopo che la Spagna si fu impadronita delle Canarie.

    Me lo testimoniano otto palle di cannone che conservo nella nostra casa canaria. E non furono certo piovute dal Cielo … 

    La mia prima volta in Canaria.

    La prima impressione fu quella del calore tropicale, sebbene fosse il mese di novembre. 

    La seconda quella del vento incessante, specie dall’aeroporto a discendere lungo la costa orientale: Vecindario, Castillo del Romeral, Playa des Ingles, Maspalomas…

    La terza sono i colori: il rosso fuoco del Flamboyant, le sgargianti bouganville multicolori, il verde luminoso dei palmizi a corona dei viali e delle litoranee.

    In verità conoscevo già le palme fin dalle mie vacanze di infanzia a San Benedetto del Tronto nelle Marche di Italia. Un frammento di quel mondo esotico che allora si sapeva solo attraverso riviste e trasmissioni televisive. E si immaginava nei sogni ad occhi aperti.

    Conoscevo già i lunghi litorali di Rimini e di San Benedetto stessa.

    Ma quando scoprii Maspalomas sospesa tra le onde dell’oceano e il rilievo delle dune di sabbia roventi sotto il sole, ebbi la sensazione di venire trasportato dentro un’ora eterna e come dimenticata dal tempo. Dove vivere significa ripetere all’infinito ciò che è essenziale: inspirare ed espirare assecondando il flusso e riflusso perenne della natura nei suoi elementi, aria ed acqua.

    In seguito avrei ripetuto questa esperienza in un altro luogo canario: il paesino costiero di San Felipe.

    Non spiaggia sabbiosa e quasi indefinita stavolta, ma costiera disseminata di roccia e battuta da onde continue e agitate mosse da venti perenni.

    Una sfida per i molti che amano il surf e fanno gita o vacanza all’uso canario nei vicini accampamenti o ” acampade” che riuniscono con ordine i numerosi camper dotati di tendaggi, sedie da mare, tavolini, cucine per le grigliate.

    E’ una sostanziale unità e coerenza interna, pur nella diversità.

    A spostarsi di non molti chilometri dal faro di Maspalomas, la punta più meridionale di Europa, attraverso un’efficiente rete autostradale si giunge a Mogan Porto, non a caso soprannominata la Piccola Venezia Canaria.

    Qui predomina la cura raffinata delle vie, case, giardini e canali e davvero la bouganvilla ne è  signora in ogni dove. Bouganville ed infiorate a ornamento di negozi, vetrine, balconi, tipiche costruzioni in stile coloniale con i classici ventilatori fissati sul soffitto.

    I ristoranti numerosi accolgono in modo ben consono e appropriato la massa itinerante dei turisti.

    Sono un complemento naturale del paesaggio.

    Direte che ho dimenticato l’interno montagnoso. Ma non e’ vero.

    Quelle aspre montagne che il poeta sudamericano Unamuno volle paragonare ad una ” tempesta pietrificata” possiedono un fascino tutto loro, certo più scomodo e impegnativo per chi vuole avventurarsi per certe stradine sterrate che ti conducono sopra pietre e dirupi in mezzo alle greggi di capre. 

    Qui in alto ci sono le “prese”, dighe artificiali per raccogliere l’acqua piovana, vero oro blu per le coltivazioni a fondovalle: mango, papaya, avocado, platano, arancia e limone. 

    Canaria e’ anche questo.

    Confrontare e’ forse antipatico.

    Eppur necessario.

    E pure quest’altro devo  aggiungere. Piaccia o no a qualcuno.

    Qui le strisce dei passaggi pedonali non sono una decorazione dell’asfalto.

    La segnaletica viene rispettata come in generale le leggi della circolazione. E non solo dagli automobilisti: perfino dai ciclisti, compresi quelli da corsa. Pura utopia in Italia.

    Le strade non vengono confuse con le pattumiere e certo non accadrebbe come in molti posti di Italia, cominciando dalla capitale, dove i cassonetti dell’immondizia e le campane per la raccolta del vetro, stracolmi di rifiuti, ogni tanto… prendono fuoco, sprigionando puzza e veleni nell’aria.

    In Canaria salire su un mezzo pubblico e pagare il biglietto è ovvia normalità e se la Polizia Locale, quella Nazionale o la Guardia Civile ti fermano per chiederti i documenti, bene, fanno soltanto il loro lavoro.

    Nessuno avrebbe da ridire e meno ancora penserebbe di ribellarsi a tali controlli.

    Altrove purtroppo funziona diversamente; vi lascio indovinare dove.

    La casa degli animali.

    Anche il rispetto e la tutela degli animali rientrano in questo civismo.

    Non so chi abbia iniziato a provvedere al nutrimento e alla protezione delle numerose colonie feline che si vedono in giro, ma è un fatto che i gatti, altrove condannati ai pericoli e alle privazioni del randagismo, qui vivono senz’altro meglio e possono fidarsi di chiunque li avvicini con buone intenzioni.

    Aveva ragione Ghandi: la civiltà di un popolo si riconosce da come tratta gli animali.

    Un pensiero che anche noi e molti italiani condividiamo e non solo a parole. Anche noi accogliamo gatti, li nutriamo e curiamo, quando necessario. Ed essi si affezionano, come normalmente succede.

    Ma allora il “cuore” canario dove sta, dicevamo ?

    Potrei affermare che il canario è felice di essere nato nel suo arcipelago. Il suo cuore è la sua patria.

    Il sentimento di appartenenza a una terra… spagnola, ma non troppo. 

    Con una lingua Canaria che corrisponde a quella spagnola, ma non troppo…

    Con un retaggio antico di famiglie anche di 18 figli, da cui discende un esercito di nipoti e pronipoti. E’ il caso della signora Josefa che conosciamo. 

    Vecchi legami con la lontana Cuba e i distanti Equador e Uruguay, ma anche il vicino Marocco fanno delle Isole Canarie un luogo naturale di incontro tra popoli. 

    Non una terra di sbarchi forzati e manovrati, come avviene invece in Italia. Ciò non genera unità, solo diffidenza e paura. I risultati li vediamo.

    Quel grido: viva Maria !

    L’ho udito durante la processione che conduce nel mese di luglio la statua della Madonna del Carmine dalla parrocchia di Arguineguin al mare, dove viene poi imbarcata alla volta di Mogan Porto. 

    Anzi, Maria è già issata su una barca accompagnata dal sacerdote con il baldacchino, i  ceri, la folla festante tra cui spiccano i suonatori delle “caracolas”, strumenti musicali del popolo a forma di conchiglia. 

    Quel suono cupo e penetrante rinvia a emozioni profonde ed indescrivibili. E il grido “Viva Maria”, la Grande Invocata qui come al santuario di Nostra Signora del Pino a Teror, ne è la diretta conseguenza.

    Cercavamo l’anima canaria ?

    Bene, posso forse sperare di averla finalmente trovata!

    Luigi Grossi

     

     

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