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    Giuseppe Petrosino e Giuseppe Dosi (parte 2)

    Cronaca scritta da me, non da una macchina!

    Siccome sono un commissario sui generis inizierò questa cronaca con una domanda: si può principiare un articolo per la fine?
    Sì, assolutamente.
    Con questo permesso incomincio con il paragone finale tra Joe Petrosino e Giuseppe Dosi, due eroi italiani; entrambi furono due uomini spavaldi, con una intelligenza capace di creare tecniche di investigazione, ad esempio come quella del travestimento.
    Ma non tutti i poliziotti la vedono così, ricordiamo come il Commissario Maigret, un personaggio dello scrittore Georges Simenon e interpretato da Gino Cervi, rimaneva isterico quando la sua mano destra e alter ego Lucas gli raccontava che si era travestito per portare avanti un’inchiesta.
    Certamente Petrosino e Dosi furono due uomini intelligenti ma davvero intelligenti, detto questo in un mondo dove la mediocrità si diffonde con il compiacimento delle reti sociali e la IA.
    La differenza fra Joe Petrosino e Giuseppe Dosi è che il secondo, il fiore all’occhiello della Polizia di Stato, fu un uomo poliedrico, un vero capricorno come me, infatti fu investigatore di polizia, agente segreto, Questore, Regio Console; anche autore e attore al cinema e a teatro, scrittore di gialli.
    Invece lo sfortunato Petrosino non ebbe il tempo da diventare poliedrico, la sua vita fu stroncata da quattro rivoltellate nel fiore dell’età a 49 anni.
    Facciamo il GPS del Nostro: Dosi nacque a Roma in 1891 e morì a Sabaudia in 1981 quasi centenario.
    Ha dovuto lavorare e soffrire, nientemeno lui un uomo di senno e ribelle, sotto gli ordini di un capo cretino nel ventennio fascista.
    Volete sapere perché a Dosi piaceva travestirsi?
    Il Nostro fu da sempre un amante del teatro, nei suoi esordi fu scritturato dal Teatro Argentina come attore generico; dopo diventerà un attore caratterista abile nell’arte dell’imitazione e del travestimento.
    Per trovare un impiego sicuro incominciò presso l’università i corsi di criminologia del medico Salvatore Ottolenghi; lì conosce le più moderne tecniche della polizia scientifica.
    Nell’anno 1913 partecipò al concorso come alunno Delegato di Polizia e iniziò la sua carriera di poliziotto.
    La sua bella recita gli permise di infiltrarsi tra i delinquenti: queste sono foto di suoi travestimenti della autobiografia.
    Certamente la vita del Nostro fu “sangue, sudore e lacrime” come la pièce di teatro che scrisse.
    La sua pericolosa carriera inizia alla grande dopo aver risolto il caso dell’attentato contro Gabriele D’Annunzio. Con questo si guadagna la fiducia del Duce, riuscendo nel 1925 a sventare un attentato contro di lui.
    Dopo Mussolini gli affidò diverse missioni segrete.
    Ma non esiste la felicità duratura: dovuto allo scontro con il capo della polizia Bocchini, detto il “vice-duce”, fu richiuso prima al carcere di Regina Coeli e dopo nel manicomio di S. Maria Della Pietà.
    Vediamo i particolari dei fatti.
    Mentre Dosi raggiungeva la fama con il caso Girolimoni, incominciano i suoi problemi con Bocchini, prima per i gialli scritti dal Nostro dove rivelava alcuni meccanismi della polizia del regime.
    Anche Dosi disobbedì gli ordini del capo riuscendo a dimostrare l’innocenza di Girolimoni.
    Lo scontro con Bocchini poteva finire soltanto con la sua sconfitta; lui vedeva Dosi come un bravo poliziotto ma difficile da gestire, infatti non sarebbe mai stato un poliziotto funzionale al regime.
    E tutto è peggiorato con la sua biografia “Il Libro del Diavolo”: un atto di accusa pesante verso la polizia.
    È un paradosso come colui che rischiò la vita con criminali ebbe subito il pericolo di essere annientato dal regime.
    Nel giugno del 1940 l’Italia entrò in guerra a fianco della Germania, in settembre del 1943 nacque la Repubblica Sociale Italiana, quindi i fedeli di Mussolini si trasferirono al Nord mentre l’Italia meridionale veniva invasa dagli Alleati. 
    Nella Roma occupata per otto lunghi mesi dai tedeschi, i romani soffersero fame e persecuzioni.
    Il 4 giugno del 1944 gli anglo-americani entrarono a Roma dove furono ricevuti come salvatori.
    Quella mattina Dosi, che abitava vicino, arrivò al palazzo di Via Tasso, la caserma delle S.S. a Roma, un luogo di prigionia e torture.
    Fu provvidenziale poiché in quel momento l’edificio stava subendo un saccheggio.
    Il Nostro, bravo con diverse lingue straniere, riuscì a salvare dal rogo importanti documenti nazisti che consegnò agli Alleati, diventando così funzionario del controspionaggio americano.
    Nel dopoguerra Dosi tornò al suo primo amore: nei suoi esordi aveva indagato sugli attentati degli anarchici e anche sui comunisti.
    Siccome c’erano adesso i primi segni della “guerra fredda” fu necessario che la polizia rivedesse le sue strategie in base alle esigenze dell’anticomunismo.
    Dosi fu un eccellente contatto della Polizia Italiana con la polizia degli altri paesi della NATO.
    Nel 1950 il Nostro propose l’acronimo Interpol alla sua assemblea, diventando capo dell’Interpol Italiana.
    Dosi in permanente aggiornamento, si è occupato anche della tratta delle bianche, il traffico di stupefacenti e della creazione della Polizia Femminile.
    Nonostante nel dopoguerra ci sia stata una crescita dei delitti, l’infaticabile attività del Nostro ha fatto dell’Interpol Italiana uno strumento di straordinaria efficacia.
    Il guerriero che il fascismo aveva voluto distruggere, in un’Italia democratica poté finalmente occupare il posto che meritava; la sua lunga carriera si concluse dopo 43 anni di servizio.
    Ma lui non andò in pensione: con la sua vasta esperienza e le nuove tecnologie anticrimine, fondò a Roma l’agenzia internazionale di investigazioni Federpol.
    Finalmente riprendendo la tenera e triste scena, della prima parte, dove Joe Petrosino, un altro eroe come Dosi, scriveva una lettera alla sua amata moglie Adelina, mi viene in mente questo pensiero: come può un guerriero mostrarsi fragile davanti alla sua compagna di vita?
    Soltanto può farlo colui che senta che lei è il suo paracadute, “la sua cura”.
    Mi è accaduto con la mia sirena partenopea, sebbene abbia messo quattro anni per capirlo, e questa è una dichiarazione d’amore eterno.

    di Commissario Steneri

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